Storia dell’architettura antica: la Villa delle Vignacce
Per la mia tesi di laurea magistrale in Architettura (Restauro) mi sono occupata dello studio, del restauro e della valorizzazione della Villa delle Vignacce e della relativa cisterna. La Villa delle Vignacce sorge al IV miglio della via Latina in un territorio appartenente all’area del Parco Regionale dell’Appia Antica, istituito da una legge regionale che finalmente nel 1988 ne riconobbe l’importanza e il valore dal punto di vista storico, archeologico e naturalistico. Questo punto di approdo ha rappresentato una conquista enorme avvenuta grazie alle lotte di tanti intellettuali dell’epoca tra cui Antonio Cederna, giornalista, ambientalista e politico che si è battuto incondizionatamente affinché gli abusi edilizi, l’incuria e la cementificazione della zona si placassero. La suddetta area infatti, oltre ad essere un immenso spazio verde di circa 4580 ettari era – e fortunatamente è ancora – uno dei luoghi che meglio conserva le tracce dell’architettura romana antica: all’interno del parco è infatti possibile ammirare ancora oggi i resti di sette degli undici acquedotti che rifornivano Roma, ville suburbane, tombe, ma anche architetture di epoca medievale e casali di epoca moderna in una cornice dalla straordinaria biodiversità di flora e fauna.
La Villa delle Vignacce
La Villa delle Vignacce si trova nel cosiddetto ‘suburbio’, l’area esattamente fuori dalla città di Roma, nella quale sorgevano le dimore dei personaggi più facoltosi della Roma repubblicana e imperiale. In questo contesto si colloca anche la cisterna delle Vignacce: essa ha assunto un ruolo di particolare rilevanza per la sua funzione di approvvigionamento idrico degli impianti termali della villa e per la sua adiacenza al tracciato dell’Acquedotto Marcio. Proprio questa vicinanza, però, le fu fatale già dopo la caduta dell’impero romano nel 476 d.C., in quanto il sistema delle ville suburbane vide la sua fine e le popolazioni barbariche, precisamente gli Ostrogoti, ottennero l’egemonia su vaste aree della penisola italica e utilizzarono il manufatto come fortino per salire sull’Acquedotto.
Lo studio dei bolli laterizi ha consentito di inquadrare la cronologia del complesso, il quale risale al periodo compreso tra 125 e 130, come suggerisce anche la tecnica edilizia utilizzata, tipica dell’età adrianea. La villa dovette subire, tuttavia, rifacimenti in età successive (attualmente non individuabili), soprattutto intorno al IV secolo, quando il fondo fu incluso nei possedimenti costantiniani. Della vasta costruzione emergono oggi soltanto alcuni ruderi in opus mixtum, sparsi sul terreno apparentemente senza collegamento, pertinenti ai vari nuclei in cui si articolava la villa. Essa era delimitata a NE da un muro di sostruzione lungo oltre m 120, rinforzato in un secondo momento da speroni in opus mixtum, collegati da archi, quasi al centro si apriva una nicchia absidata, mentre all’estremità ovest era un gruppo di tre ambienti coperti con volta a botte (forse cisterne).
Il nucleo principale del complesso è formato dal corpo di fabbrica posto a S, che si componeva di una grande sala rettangolare, absidata, con due nicchie su ogni lato. Alle spalle degli scarsi resti di questa struttura passava un corridoio con volta a crociera. Ad E di tali ambienti si trovava un altro nucleo della villa, costituito da un vano quadrangolare (non più visibile) coperto con volta a crociera, da cui – attraverso un grande fornice – si accedeva ad un’aula rettangolare che presentava su ciascun lato una piccola sala quadrata. Questo vano, conservatosi fino ai giorni nostri (tranne la copertura con volta a botte) costituiva una sorta di anticamera per un ambiente rettangolare absidato con nicchie. Parallelamente a tali strutture si disponevano altre sale con piani superiori, delle quali permangono solo pochissimi ruderi. Immediatamente ad E si trova un ambiente circolare coperto a cupola, conservato per circa un quarto. Qui si notano chiaramente le anfore inserite nella calotta, che avevano la funzione di alleggerire la struttura; si tratta di uno degli esempi più antichi di una tecnica che ritroviamo a Tor Pignattara, a Tor de Schiavi e nel circolo di Massenzio. All’esterno di questa sala vi erano altri vani coperti a botte che servivano a contrastare la spinta della cupola. All’estremità orientale del complesso sorgeva un ulteriore nucleo della villa, infine altri ambienti, attualmente non visibili, si estendevano sul lato SE. Durante lavori eseguiti nel 1999 in via F. Luscino 82 fu rinvenuto occasionalmente un breve tratto di strada basolata con orientamento SE. Si tratta verosimilmente di un diverticolo della via Latina, collegato alla villa delle Vignacce, che metteva in comunicazione quest’ultima con la Labicana, un altro tratto della quale si trova inglobato nel fabbricato di viale Spartaco 139.
Un problema ancora irrisolto è quello relativo all’identificazione dei proprietari di questa grande villa suburbana. Si continua infatti a utilizzare negli studi un toponimo di origine volgare; i ruderi ancora emergenti sul terreno sono detti “delle Vignacce” forse per la caratteristica della anfore inserite nelle volte. Tale nome potrebbe derivare dalla deformazione della parola “pignatte”, da cui “pignacce” e poi “vignacce”. Si può supporre altrimenti che l’origine del toponimo sia da riconnettere alla coltivazione della zona a vigneti: il nome “Vignacce” nascerebbe dalla decadenza di questi ultimi con il subentrare dei prodotti provinciali. L’ipotesi dominante negli studi circa i possibili domini della villa è stata quella proposta da Ashby e Lugli, secondo i quali la villa delle Vignacce coincide con il complesso scavato da G. Volpato nel 1780. Durante questi scavi furono riportate alla luce alcune fistulae plumbee inscritte considerate pertinenti alla villa, una delle quali reca il nome di Q. Servilius Pudens, che ne fu ritenuto il proprietario. Sono noti quattro personaggi con questo nome, ma in base all’analisi dei bolli laterizi, si è proposto di identificare il proprietario con il legato di Plinio il Giovane, padrone di figlinae (per la produzione di vasellame/terracotta) durante la seconda metà del regno di Adriano e padre del console nel 166.
La cisterna delle Vignacce
Strettamente collegata alla villa è la cisterna pentagonale a due piani, posta a SO e parallela all’acquedotto Felice. Il piano inferiore, diviso in tre vani con volta a crociera, sostiene i quattro ambienti del livello superiore, privi della copertura originaria. All’esterno la costruzione è decorata con nicchie. Il Coarelli documenta per questa conserva d’acqua tre differenti tecniche costruttive: l’opus reticulatum, l’opus mixtum e l’opus listatum corrispondenti, secondo lo studioso, a tre successive fasi edilizie databili fra il II e il IV secolo. Per la presenza di paramento murario e di nicchie sui lati prospicienti la villa è stata attestata l’ipotesi che la cisterna fosse anche un ninfeo di cui i proprietari e gli ospiti della Villa potevano ammirare i giochi d’acqua dagli ambienti collocati a Sud della cisterna. Per quanto riguarda il metodo di captazione delle acque dagli acquedotti le tecniche potevano essere di vario tipo. Il primo sistema per prelevare le acque, ed anche il più antico, fu quello di far scendere un recipiente nella cisterna tramite una fune. Fu sempre usato anche nelle epoche successive e cioè quando le cisterne furono costruite ad un livello superiore al luogo che dovevano rifornire, per poter avere una certa pressione, che consentisse alle acque di essere convogliate a caduta, regalandole il flusso tramite chiavi. In questa maniera le fontane, i ninfei, i bagni ebbero acqua a getto continuo ed anche con una certa pressione. Le acque comunque raccolte venivano convogliate nelle cisterne con lo scopo di chiarificarle ed infatti le cisterne deputate soltanto a questo venivano chiamate piscinae limariae e vennero costruite soprattutto all’inizio e alla fine degli acquedotti e qualche volta durante il loro percorso. Le acque cadevano in esse e nel rallentamento che subivano perdevano i corpi estranei presenti in sospensione, che per gravità si depositavano sul fondo. Quindi da un orifizio situato qualche centimetro al di sopra del piano del pavimento prendevano la via dell’acquedotto, per poi ripetere la prima manovra nella cisterna terminale. Da questa le acque, ulteriormente purificate, venivano convogliate nei castelli, dai quali avveniva la distribuzione ai vari settori tramite tre tubazioni ed erano raccolte ancora una volta in cisterne. Una delle fistole dei castella aquarum alimentava i bagni pubblici, un’altra le abitazioni private e la terza riforniva le riserve e le fontane.
Per quanto riguarda la cisterna delle Vignacce, la captazione sembra essere avvenuta tramite un pozzetto, oggi a livello del piano di campagna, ma in passato forse alto quanto il condotto dell’Acquedotto Marcio (oggi sostituito dall’Acquedotto Felice). le cui pareti sono apparse rivestite da uno spesso strato di calcare; un saggio sul lato meridionale del pozzo ha rivelato la presenza di una rozza apertura, foderata anch’essa di calcare, segno evidente del costante passaggio dell’acqua. Le dimensioni interne del pozzo sono di cm. 100 x 100; modulo laterizio: cm. 27-29. Il funzionamento del punto di derivazione sembra essere stato il seguente: l’acqua, mediante una tubazione inserita nella parete dell’acquedotto, entrava nel pozzetto e ne riusciva, sempre mediante una tubazione per riempire la vicina cisterna, dalla quale nuovamente poteva essere distribuita tramite tubazione/i in terracotta, poste di poco al di sopra del pavimento della cisterna, alle varie utenze per gli usi della villa. La cisterna era provvista anche di un tubo di sfogo per il troppo-pieno, quando il livello dell’acqua superava il limite massimo di capienza della conserva, cioè di uno sfioratore per lo stramazzo dell’acqua in eccesso. L’apertura rinvenuta alla base del pozzo può essere interpretata come uno scarico per il suo svuotamento periodico; da qui l’acqua fuoriusciva mediante la manovra di una saracinesca lignea, di cui sembrano individuarsi impronte sulle pareti alla base del pozzo; tale acqua poteva anche essere utilizzata per l’irrigazione degli orti intorno alla villa. L’acqua poteva essere erogata dalla cisterna in continuazione oppure ad orario con apertura di paratie lignee a ridosso del condotto pubblico, a seconda delle quinarie attribuite all’utenza[1].
[1] Cfr. Sartorio Pisani G., Punto di derivazione dell’acqua Marcia alla cisterna della c.d. villa delle Vignacce sulla via Latina; strada di manutenzione e cippo terminale delle acque Marcia, Tepula e Iulia, in Il trionfo dell’acqua. Acque e acquedotti di Roma IV sec. a. C. – XX sec., XVI Congresso ed Esposizione Internazionale degli Acquedotti, Roma, 1986.
La cisterna delle Vignacce durante il lockdown di aprile 2020 è stata la tela di uno street artist. Ho scritto alcune considerazioni sul tema per Culture Future.