Storia dell’architettura contemporanea: interni romani
Durante la mia prima tesi di laurea in Architettura e Arredamento di Interni ho scelto di studiare un tema poco indagato come l’evoluzione dello stile negli spazi interni delle architetture realizzate a Roma tra le due guerre. Alcuni contributi storico-architettonici degli ultimi anni hanno fatto meglio conoscere questa realtà, sia nella sua manifestazione ufficiale – per esempio nelle declinazioni dei vari Ministeri – sia in relazione all’architettura abitativa. Ma, a parte qualche caso, noto per l’eccellenza del progettista, si tratta di edifici i cui interni sono, per lo più, scarsamente documentati e restano poco conosciuti anche agli specialisti. Le riviste prese in considerazione nella mia ricerca sono state:
- Architettura e arti decorative: rivista d’arte e di storia
- Architettura: rivista del Sindacato nazionale fascista architetti
- L’architettura italiana: periodico mensile di costruzione e di architettura pratica
- Capitolium. Rassegna mensile d’attività del Governatorato di Roma
- Casabella: rivista di architettura e di tecnica
- Domus: architettura e arredamento dell’abitazione moderna in città e in campagna
- La casa bella: arti e industrie dell’arredamento
- Rassegna di architettura: rivista mensile di architettura e decorazione
Nella trattazione sono state scelte solo le opere a carattere pubblico, sia quelle realizzate che quelle progettate, per analizzarne le caratteristiche e fornire una panoramica completa delle elaborazioni nell’ambiente romano nel periodo compreso tra il 1920 e il 1940. I criteri utilizzati per selezionare il materiale documentario sono stati di tipo temporale, dividendo il periodo prescelto in quattro lustri, e tipologico, individuando cinque categorie (alberghi, caffè/ bar, negozi e uffici, studi/ atelier e teatri e cinematografi) che potessero rappresentare al meglio l’ampio ventaglio di opere architettoniche e di progettazioni d’interni elaborate in quegli anni.
1920-1925
Da un punto di vista economico, la situazione romana del primo dopoguerra configura due distinti aspetti contrapposti: la crescita della produzione dell’industria bellica, da un lato, e una forte inflazione anche dei prezzi dei beni di prima necessità, dall’altro. Mentre dal punto di vista architettonico, a differenza dei paesi del Nord Europa, la vicenda italiana e ancor più particolarmente, quella romana, si connota di qualità del tutto personali, non perfettamente in linea con il susseguirsi dei movimenti architettonici al di là delle Alpi, sia a causa del regime politico, che influirà nelle scelte di ogni aspetto della vita, sia a causa delle preesistenze storiche e architettoniche su cui necessariamente si apre un dibattito e che da sempre influenzano i modus operandi degli addetti ai lavori e dei cittadini. Infatti la tendenza tutta italiana, messasi alle spalle la vicenda eclettica, non sarà quella di muoversi verso quel movimento di respiro nordeuropeo, qual è lo stile Liberty, bensì di cercare nel passato, specie nel passato della Roma barocca, i valori e i postulati del suo nuovo stile. In questo momento storico, «il barocchetto si presenta […] come ricco momento di scoperta linguistica, ai margini della polemica sulle “preesistenze ambientali”, sugli stili e sul “moderno”»[1]: gli architetti trovano, dunque, in esso, la risposta al dilemma della mediazione, nonché una maniera che non aveva bisogno di essere studiata o ricercata, ma che si poteva facilmente trovare per Roma, a grande, ma soprattutto a piccola scala. «Cornici, cornicioni, lesene, paraste, finestre, portali, balconi, statue, fregi, stucchi, simboli, allegorie, si intrecciavano e si accavallavano per dar vita al più ricco repertorio di “fenomeni” architettonici della penultima modernità»[2].
[1] Accasto G., Fraticelli V., Nicolini R., L’architettura di Roma capitale 1870 – 1970, Firenze, 1971, p. 321.
[2] Ciucci G., Muratore G., Storia dell’architettura italiana. Il primo Novecento, Milano, 2004, p. 87.
1926-1930
Dopo l’avvenuta legittimazione su un piano nazionale e internazionale, dal 1926 in poi, il PNF paleserà la sua vera natura: pretestuoso è stato, in questo senso, l’attentato a Bologna da parte dello studente Anteo Zamboni ai danni del duce, successivamente al quale scaturiscono una serie di provvedimenti, noti come leggi “fascistissime”. Da un punto di vista economico, l’obiettivo del regime si identifica con la costituzione di uno Stato autarchico: in quest’ottica viene attuata una politica di rafforzamento e sviluppo dell’industria, tenendo comunque conto del divario tra Nord e Sud, e di riforme agricole, tra cui la rinomata “battaglia del grano”, che ha l’obiettivo di aumentare la produzione agricola, al fine di rendere il Paese autosufficiente in questo settore. La crescita sproporzionata della popolazione e la crisi del 1927, dovuta alla «rivalutazione della lira»[3], portano alla configurazione di un’ipotesi di decentramento delle abitazioni verso la periferia, «con l’intento di tenere lontano il più possibile le concentrazioni operaie»[4] dai centri della città: si formano, così, i quartieri popolari di Montesacro, di Trionfale e della Garbatella e le borgate. Seguono l’eliminazione delle rotaie dal centro storico e lo spostamento degli uffici di Mussolini a Palazzo Venezia: questo evento rappresenta una svolta, per quelle che saranno le scelte del duce in ambito politico e urbanistico, che domineranno la scena romana nel decennio a seguire. Piazza Venezia diventa, da questo momento in poi, il fulcro del rapporto tra il duce e la folla, crocevia tra il potere attuale e la magniloquenza della Roma antica: proprio per rivendicare questo legame ideologico e tradurlo in termini spaziali, scavi e lavori stradali interessano le aree contigue alla piazza ed alcune delle più importanti costruzioni romane, quali il Colosseo, i Fori, il Teatro di Marcello. L’opera di sventramento e “liberazione” si conclude, per ora, con la costruzione della via del Mare, congiungimento tra la Piazza e il Teatro di Marcello, che verrà inaugurata il 27 ottobre.
[3] Vidotto V., Roma capitale. Storia di Roma dall’antichità a oggi, Roma-Bari, 2002, p. 167.
[4] Ivi, p. 237.
1931-1936
Questa fase della storia di Roma non è segnata da un susseguirsi frenetico di avvenimenti politici, come era stato per i quinquenni precedenti: è un periodo in cui il governo fascista assesta e definisce i caratteri della dittatura in atto, attraverso nuove leggi e nuovi provvedimenti che sanciscono, ancora e definitivamente, il suo potere. Prima tra tutte la redazione del Codice Rocco, da parte dell’allora ministro della giustizia Alfredo Rocco che, sotto un profilo persecutorio, aveva il compito di vietare le associazioni sovversive, per difendere gli interessi collettivi, l’economia pubblica, ma soprattutto lo Stato. In questi anni il piano di Antonio Muñoz, secondo il principio della «continuità col passato unita alla modernità del presente»[5], segna un ulteriore obiettivo centrato, con l’apertura della via dei Monti, collegamento tra la piazza Venezia e il Colosseo, il 28 ottobre 1932, decennale della Marcia su Roma [6] (poi via dell’Impero, ora via dei Fori Imperiali. Anche in architettura, si fa incalzante e improrogabile la volontà di trovare un piano unico secondo il quale muoversi, delle direttive che inquadrino lo stile in un’ottica sia di modernità, che di conformità allo Stato fascista. Alla II Esposizione di architettura razionale, svoltasi a Roma nel 1931, questa necessità si manifesta chiaramente nelle “tavole degli orrori” che Pietro Maria Bardi, proprietario della Galleria in cui la mostra si svolgeva, presentò per denunciare i peggiori risultati dell’architettura del tempo, tra cui anche opere di Marcello Piacentini. Bardi ritiene che sia ora di definire l’architettura, arte di Stato, non più legata al «recupero degli stili del passato»[7], ma capace di esprimere il momento attuale, di essere valida nella sua rappresentazione dell’idea fascista[8]: così come era accaduto per altri campi, giunge l’ora anche per l’arte di essere vigilata dallo Stato.
[5] Vidotto V., Roma capitale. Storia di Roma dall’antichità a oggi, Roma-Bari, 2002, p. 402.
[6] Ivi, p. 481.
[7] Ciucci G., Gli architetti e il fascismo…, cit., p. 109.
[8] Ivi, p. 110.
1936-1939
Il 9 maggio 1936 a piazza Venezia Mussolini proclama la “riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma”, dopo la vittoria della guerra in Etiopia, terminata il 5 maggio con l’ingresso delle truppe italiane ad Addis Abeba. Il momento rappresenta l’apoteosi del regime fascista, che vede finalmente realizzati i propri intenti dal punto di vista politico, nell’espansione coloniale, dal punto di vista culturale nell’inaugurazione del 1938 di Cinecittà, che producendo solo film italiani, sancisce l’inizio della censura sulla cinematografia straniera, e dal punto di vista architettonico, nella costruzione dell’E42.
Roma viene, infatti, scelta nel 1937 come sede dell’Esposizione Universale del 1941, spostata poi al ’42 in coincidenza del ventennale del regime fascista: è questo il pretesto per costruire, non una serie di padiglioni espositivi atti a mostrare i più moderni risultati dell’architettura italiana, ma un complesso monumentale di edifici permanenti, che celebrassero la «storia della civiltà italiana e romana»[9]. E l’area scelta conferma questa decisione: «”superando il monumento a Vittorio Emanuele II […], il fascismo tracciava il nuovo “cardo”, prima con l’apertura di via del Mare e di via dell’Impero, poi con la via dei trionfi ed infine oggi, con la via Imperiale Mussoliniana», attuale via Cristoforo Colombo, «fino al Mediterraneo, mare di Roma”»[10]. La panoramica delle opere di questo quinquennio, che poi tale non è in quanto si è deciso di collocare il termine temporale della ricerca al 1939, prima che l’Italia entri in guerra, è decisamente ridotta, almeno per quanto riguarda le categorie in esame. Infatti, tutte le forze sono concentrate nella realizzazione del nuovo quartiere della nuova Roma e delle sue arterie di collegamento alla città, che furono ulteriormente potenziate per un’importante occasione: sul tracciato della ferrovia metropolitana Termini-Eur viene costruita la stazione Ostiense, pensata in funzione dell’Esposizione, ma completata in tutta fretta per ricevere, nel maggio 1938, Hitler in visita a Roma.
[9] Ciucci G., Gli architetti e il fascismo…, cit., p. 181.
[10] Minnucci G., Il piano regolatore, in “Architettura”, p. 731. Vidotto V., op. cit., p. 171.
La trattazione è corredata da una sezione chiamata “Lo stato attuale” in cui sono state fotografate alcune delle opere censite nel 2011 per porre l’attenzione sulla necessità di interventi di restauro anche sul patrimonio architettonico contemporaneo.
Un saggio della suddetta tesi è stato pubblicato in “Prove di dialogo. Ricerche tra arte e architettura”, a cura di Daniela Fonti, Rossella Caruso, edizioni Kappa, 2012.